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L’atto dello …
  27 Luglio 2018

L’atto dello psicoanalista e il desiderio che lo abita Rosa Elena Manzetti   La psicoanalisi è un sintomo, come tutte le altre produzioni umane, ma allo stesso tempo è anche differente da tutte le altre produzioni umane, poiché il suo oggetto è proprio ciò che ciascun parlessere costruisce, per lo più a sua insaputa, per sostenersi nell’esistenza procurandosi del piacere e il più delle volte per soddisfare la pulsione di morte. Si tratta di una occupazione che impegna talmente gli esseri parlanti da dimenticare persino l’oggetto stesso dei loro scambi. Che cosa muove i parlesseri al di là della loro domanda immediata? Lo psicoanalista è per caso colui che avrebbe la risposta a questa domanda? Diciamo che egli sa il significante che è la causa del suo sintomo, ne identifica la significazione fallica, quando la castrazione è all’opera, e il più-godere cui ci si aggrappa. Il sapere dell’analista è un sapere paradossale che oscilla tra il sapere dell’impotenza, vale a dire il vicolo cieco del Soggetto supposto Sapere cui mira il percorso della cura analitica, e il sapere dell’impossibile, un sapere sull’atto analitico a cui si mira nel dispositivo della passe. Occorre distinguere infatti il sapere analitico dal sapere inconscio. Il sapere dell’inconscio è un sapere senza soggetto, che è decifrabile, mentre il sapere analitico è un sapere sull’atto, un sapere non accessibile tramite i significanti, un punto zero del sapere. Si tratta di affrontare l’orrore dell’atto che spinge un soggetto in analisi verso l’orrore di sapere ciò che ne è del posto di questo sembiante d’oggetto a, causadi desiderio, di cui l’analista deve occupare il posto per produrre altri analisti. Tuttavia Lacan invita lo psicoanalista a non fissarsi nella posizione dell’atto. Lo invita a ridivenire analizzante, a alternare la via analizzante e l’atto analitico, per rinnovare la sua relazione con l’inconscio e riprodurre il desiderio dell’analista. Il desiderio dell’analista implica quindi un contributo da dare al sapere analitico. L’atto analitico, lo si suppone a livello dell’interpretazione da parte dell’analista. A prima vista potrebbe sembrare contradditorio parlare di atto in psicoanalisi, dal momento che la posizione dell’analista è caratterizzata dal suo non-agire. Il fatto è che l’atto non è l’agire, come ci spiegheranno  più oltre coloro che hanno lavorato in uno dei capitoli di clinica nelle istituzioni. L’atto si sostiene sempre su un dire. Lacan, nel suo seminario L’acte spychanalytique[1] e nel suo intervento Discours à l’Ecole freudienne de Paris[2]  pubblicato in Autres écrits, mette in rilievo che la passe è il momento in cui l’atto può essere verificato nel momento in cui si produce, poiché il passaggio da analizzante ad analista è precisamente questione di atto analitico. Lacan si occupa dell’atto analitico lungo tutto l’arco del suo insegnamento, ma in particolare dopo il 1967 se ne occupa nel resoconto del Seminario sull’atto analitico negli Autres écrits, e nella lezione del 4 giugno 1969 del seminario D’un Autre à l’autre.[3] Come si caratterizza l’atto analitico, da cui l’analista trae il suo statuto di analista? Nel seminario L’acte psychanalytique Lacan dice che lo psicoanalista nel suo atto si offre come supporto, in un processo di sapere, del ruolo di oggetto di causa del desiderio. Questo fa sì che il sapere di cui si tratta non sia altro che realizzazione significante che ha una certa familiarità con il fantasma, che rivela quindi elementi fondamentali del fantasma. Siamo alla fine degli anni ’70 e Lacan considera che la fine dell’analisi sia costituita dall’attraversamento del fantasma. Non basta che l’analista assuma il posto di sembiante dell’oggetto causa di desiderio per un particolare soggetto perché ci sia atto analitico, occorre che l’offrirsi nella posizione di supporto dell’oggetto causa di desiderio sia fatto in un processo di sapere legato al sapere ottenuto nell’analisi. Si tratta di un sapere di cui non  profitta l’analista che conduce la cura. Il suo posto non è quello di beneficiario del sapere, ma di strumento della rivelazione. Non è il sapere a caratterizzare la posizione dell’analista e a determinare il titolo nella scuola. A differenza di quello che troviamo nell’ambito delle psicoterapie, in cui lo psicoterapeuta è considerato detentore di un sapere sui sintomi e sulla loro risoluzione. Se in psicoanalisi l’oggetto causa di desiderio è il perno dell’atto, allora questo significa che l’analista non opera in quanto soggetto. Per questo Lacan dice che lo psicoanalista nell’atto analitico non pensa. Per funzionare come sembiante di oggetto e non come soggetto di sapere, l’analizzante ha dovuto svolgere il suo percorso, iniziato con la credenza nel Soggetto supposto Sapere, che è la risorsa del transfert, per arrivare infine a destituire soggettivamente il suo analista del sapere che gli aveva supposto. Lo psicoanalista è il solo a poter mettere in causa questa funzione del Soggetto supposto Sapere, poiché il suo atto avviene in un dire che cambia il soggetto. Lacan insiste molto sul fatto che l’essenziale, dal punto di vista dell’atto, non è che alla fine dell’analisi lo psicoanalista divenga per l’analizzante l’oggetto causa di desiderio, ma che l’analista sia implicato come sembiante dell’oggetto causa di desiderio sin dall’inizio e lungo tutto il percorso. Se l’oggetto è presente da subito e l’analista ne è il suo supporto, tuttavia egli non è soltanto oggetto e il cambiamento che lo tocca ha una certa progressività nel corso della cura. Perciò seppure l’oggetto causa di desiderio sia presente dall’inizio della cura, ci vuole il necessario lavoro analizzante perché al termine dell’operazione l’oggetto riappaia nel reale, vale a dire rigettato dall’analizzante. E l’analista non fa che rappresentare questo oggetto evacuato.

[1] J. Lacan, L’acte psychanalytique , Seminario inedito
[2] J. Lacan,  Discours à l’Ecole freudienne de Paris  in Autres écrits, Editions du Seuil, Paris 2001, p.261
[3] J.Lacan, Le Séminaire, Livre XVI. D’un Autre à l’autre, Editions du Seuil, Paris 2006