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Il sintomo come soluzione del soggetto
  27 Luglio 2018

Il sintomo come una soluzione del soggetto Barbara Nicotra Il sintomo con cui si ha a che fare nell’esperienza analitica non dipende dalle leggi che reggono il funzionamento dell’organismo umano. Infatti l’organismo appartiene alla realtà biologica e i sintomi che appartengono a questa realtà sono certamente trattati dalla medicina. Accanto, però, a questa realtà biologica dell’organismo esiste un’altra realtà. L’organismo offre una base al corpo; ma il corpo è il risultato degli effetti della struttura di linguaggio sull’organismo dell’essere parlante. L’effetto del linguaggio sull’organismo determina che l’essere umano sia suscettibile di una categoria di sintomi che sono legati al fatto che questo soggetto subisce l’effetto del campo del linguaggio. Il sintomo di cui viene a lamentarsi il paziente prende, infatti, la via della parola. Ed è proprio su questa base che il sintomo è stato concepito da Freud come un messaggio. Il sintomo ha una significazione, vuol dire qualcosa. Esso è senza dubbio un messaggio, non decifrato dal soggetto, la cui causa è un tornaconto secondario, un guadagno di godimento. Questi sintomi sono quelli con cui si è confrontato Freud e che gli hanno permesso di inventare il dispositivo della prassi analitica come modo per accogliere e rispondere a questi sintomi. Essi sono quelli con cui gli psicoanalisti hanno a che fare nella loro pratica quotidiana; sono i sintomi di ciò che chiamiamo generalmente le nevrosi, le psicosi e le perversioni. Lacan considerava che c’era sempre qualcosa che non andava nella vita di un essere umano ed era giunto a dire che questi sintomi aiutavano l’essere a vivere. Fin dal 1957 Lacan aveva messo in rilievo che il sintomo ha una struttura di linguaggio ed è inscritto in un processo di scrittura. Si entra in analisi lamentandosi del sintomo e con il suo atto l’analista convoca il simbolico tramite l’associazione libera e l’interpretazione. La funzione del sintomo è una funzione particolare a ciascun soggetto. Esso designa la particolarità di godimento propria a ciascuno. Lacan nel Seminario XXIII, Il Sinthomo, dice che quello che chiamiamo comunemente sintomo sono le tracce enigmatiche lasciate nel corpo dal dire; quindi c’è sintomo perché c’è un corpo, delle pulsioni e un linguaggio. Ritornando per un attimo a Freud, egli affermava che il sintomo fosse un malfunzionamento, come si può trovare in Inibizione, sintomo e angoscia; è il segno e il sostituto di una soddisfazione pulsionale che non si è realizzata e che si tratta di decifrare per risolverlo. Lacan sostiene la definizione di Freud, solo che per lui il sintomo non è più considerato un’anomalia, ma qualcosa che nella struttura svolge la sua funzione. Esso è perciò un perno che non si deve toccare, eliminare con leggerezza. Riferendoci a Lacan quindi possiamo dire che si tratta piuttosto di identificare il sintomo per cogliere come sono tenuti insieme gli elementi della struttura. Non si tratta quindi di sopprimere il sintomo ma di scoprire in che cosa si costituisce come impedimento per il soggetto, poiché anche quando è invalidante per il soggetto, il sintomo si rivela appartenente alla dimensione del necessario. La sua soppressione pura e semplice determinerebbe una mutilazione dell’essere. La differenza tra la psichiatria, le psicoterapie e la psicoanalisi sta sicuramente nel modo di fare con questo. Il sintomo psichiatrico e quindi medico viene da Ippocrate. E’ dedotto da una osservazione, il più delle volte dai familiari e dagli amici che ne denunciano la presenza. Sempre di più per fare diagnosi si fa ricorso a test e a questionari che conducono poi alla decisione su quale trattamento proporre. L’obiettivo è quello di debellare il sintomo, se possibile, nel più breve tempo possibile in quanto è fondamentale restituire la piena integrità; utilizzo il termine integrità in quanto in questo caso il sintomo viene considerato come un deficit. Come avete ascoltato, il sintomo per la psicoanalisi è qualcosa di differente, non si tratta di farlo fuori, infatti è considerato necessario quando sia correlato al godimento e sia supporto di una identificazione. La psicoanalisi si occupa quindi del sintomo ed in particolare di ciò di cui si lamenta il soggetto; sta al soggetto che soffre di dire di cosa soffre ed il fatto di dirlo modifica ciò di cui soffre. E’ per questo che il sintomo di cui parliamo in psicoanalisi è un sintomo che si costituisce sotto transfert. Sin dall’inizio ciò che Freud designò come sintomo non era soltanto identificato da una sofferenza. Il sintomo portava certamente con sé della sofferenza, ma per sintomo egli intendeva un di più di disagio. La finalità primaria della psicoanalisi non è l’effetto terapeutico inteso come scomparsa del sintomo ma piuttosto mira a determinare un cambiamento del sintomo; cioè che un sintomo più vivibile e accettabile dal soggetto si sostituisca a quello che era divenuto intollerabile. Il sintomo quindi come risorsa del soggetto, questo sia nella nevrosi sia nella psicosi. Lacan infatti in relazione alla psicosi prende una chiara posizione; per lui la psicosi non va considerata né come deficit né come dissociazione ma piuttosto è una delle possibili risposte (oltre quindi alla nevrosi e alla perversione) che l’essere umano può dare di fronte all’enigma di quella che Freud chiamava la realtà sessuale, cioè la castrazione. Per alcuni soggetti, di fronte a ciò che strutturalmente non si può simbolizzare è necessaria una costruzione ad hoc. Infatti, non ogni costruzione rappresenta una supplenza, o meglio, nella pratica è fondamentale reperire la stoffa di ciò che si costituisce come una supplenza dagli effetti di stabilizzazione del soggetto. Come accadeva già per Freud e per Lacan, ancora oggi la psicoanalisi si costituisce a partire dalla sua pratica ed è condizione fondamentale per la psicoanalisi essere a tempo con i cambiamenti del soggetto nel sociale. La pratica clinica si trova, in questi ultimi anni ad interrogarsi su quelli che sono stati chiamati i nuovi sintomi, proprio per sottolineare il fatto che il sintomo, in quanto modo di fare legame, non è qualcosa di immutabile, di statico, almeno nella forma delle sue manifestazioni. Infatti basta leggere Freud per cogliere come le manifestazioni dell’isteria della fine dell’800 si presentano in modo differente. Jacques Lacan è di grande esempio in questo essere a tempo con i cambiamenti del soggetto; infatti egli partendo dalla clinica strutturale che distingueva nevrosi e psicosi in relazione alla presenza o all’assenza del significante del Nome del Padre (nella psicosi il Nome del Padre è forcluso), arriva, con la teoria dei nodi, a costruire uno strumento che consente di maneggiare il reale per arrivare a reperire l’invenzione propria a ciascun soggetto che è il sintomo. Quindi possiamo dire che i sintomi, tra cui l’anoressia, la bulimia o gli attacchi di panico ecc. sono delle soluzioni che il soggetto applica per mantenersi al riparo da una possibile invasione del godimento; essi si costruiscono in presa diretta con il reale, bordandone il buco; è proprio per questo che possiamo dire che il sintomo oltre ad essere una risorsa per il soggetto è anche la sua soluzione.